Persone e associazioni di rara bellezza

Persone e associazioni di rara bellezza

Ci si può accostare ad un tema vasto e complesso come quello delle malattie rare per la fascinazione di un bambino che ripete una filastrocca:

“Brutti orologi somari e bugiardi,
dite che è presto, non dite che è tardi;
tempo non correre,
siediti un poco, fammi finire in pace il mio gioco”

Una filastrocca che non ha soltanto il significato giocoso ma anche doloroso se il bambino che la recita– dolcissimo e affetto da DMD (malattia genetica rara degenerativa) – lotta contro il tempo e suo padre si toglie per sempre l’orologio per rifiutarne la tirannia.

Succedeva 12 anni fa e da allora non ho smesso di partecipare alla battaglia di quel bambino e di suo padre come a quella di altre persone, incanalando energie in associazioni che si occupano di varie malattie rare.

Mi sono avvicinata così anche alla importante mission di “Occhi Azzurri” e l’ho fatto con tutta me stessa.

Ma facciamo un passo indietro: il 28 o il 29 febbraio di ogni anno, dal 2018, più di 65 associazioni di pazienti e famiglie celebrano la Giornata mondiale delle malattie rare, con l’intento di uscire dall’anonimato e creare una rete di solidarietà che partendo dal basso vada a scalfire la coscienza delle istituzioni.

Poiché è veramente difficile capire la complessità di sentimenti, emozioni e progettualità, l’impegno, la sofferenza e i bisogni personali di chi vive, direttamente e indirettamente, il dramma di una malattia rara, cercherò qui di fornire, prima di tutto, alcune informazioni generali:

  • A oggi in Italia non esiste una definizione univoca di malattia rara;
  • I’OMS ne stima tra le 7-8 mila tipologie differenti;
  • Nei 27 paesi UE tra i 24 e i 36 milioni di persone hanno una malattia rara;
  • Nella CE si ritengono rare le malattie che hanno un’incidenza non superiore a 5 soggetti su 10.000;
  • Le alterazioni genetiche sono malattie rare ma non tutte le patologie rare hanno un’origine genetica. Alcune sono di tipo ereditario, altre colpiscono ex novo (a caso);
  • L’aggettivo “rare” accostato a malattie gravi e complesse implica una distanza psicologica che legittima erroneamente le coscienze ad allontanarvisi.

Di fronte ad un fenomeno di questa portata l’aggettivo “raro” risulta inadeguato; in ogni caso le malattie rare non si definiscono tali solamente per una questione statistica, ma anche perché, nonostante i progressi della ricerca scientifica, la loro evoluzione rimane ancora poco conosciuta dalla scienza medica.

Il fatto che il fenomeno venga considerato circoscritto ha implicazioni varie: ad esempio il grave problema dei “farmaci orfani”, i medicinali utili in questo campo ma privi di un mercato sufficiente per ripagarne le spese. Realtà cruda e avvilente.

Purtroppo è vero che per questo genere di patologie, che si manifestano principalmente alla nascita o in età pediatrica, spesso ancora non esiste cura e ad oggi le malattie rare rimangono una delle prime cause di morte infantile, ma bisogna ricordare che, attraverso una presa in carico complessiva della persona, si possono migliorare la qualità e la durata della sua vita.

Si pone dunque come fondamentale il tema della cura ma vorrei ricordare che tutti gli esseri umani sentono il bisogno di ricevere e di fornire azioni di cura; la cultura moderna da un lato la identifica come una serie di interventi sanitari, dall’altro la vede come una competenza innata e naturale, come avviene tra genitori e figli.

Le famiglie che vivono sulla propria pelle la quotidianità accanto a una persona con una malattia rara vanno aiutate ad uscire dal deserto psicologico e dall’abbandono esistenziale in cui sono immerse, per scorgere nuovi orizzonti di possibilità, di speranza e di vita che si affianchino e spingano il cuore un po' oltre l’ostacolo, ossia oltre l’enorme sofferenza che la grave malattia o disabilità comporta.

Tra la cura e il prendersi cura si fa spazio lo sguardo pedagogico: la cura educativa è una relazione d’aiuto volta a sostenere, accompagnare e affiancare la persona, rispondendo ai suoi bisogni specifici e speciali. All’interno di questa dimensione relazionale – soprattutto in queste situazioni - non devono mancare l’accettazione positiva e incondizionata, la spontaneità e la dimensione empatica.

Quando si parla di malattie rare ci vorrebbe la massima delicatezza, invece il rischio è scadere nel sensazionalismo, enfatizzare le caratteristiche “negative”, spettacolarizzare o banale il dolore. Ma una persona non è la sua malattia e ha dentro e fuori di sé un mondo da esprimere e da abitare.

Per questo ciò che conta è creare un piano educativo e riabilitativo che porti al benessere e al miglioramento della qualità di vita, senza concentrarsi troppo, come spesso accade, sull’acquisizione di autonomie personali, sinonimo di un “saper fare” ma non di un “saper essere”.

Nel corso della vita ho incontrato tante persone con una malattia rara; la loro storia si è intrecciata con la mia, arricchendola di sfide e di battaglie, ma anche di piccole e grandi gioie condivise.

Ovviamente ciascuno è diverso e unico, ma una caratteristica comune a tutte queste persone è (o era) la voglia di vivere. Vivere intensamente, nonostante la sofferenza, gli impedimenti, le frustrazioni, le paure, le delusioni, le ingiustizie e le esclusioni sociali.

Chi non ha bisogno di imparare tutto questo?

Anche “Occhi azzurri” è il mio viatico per una vita più consapevole e forte.

Marianna Bodini

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